Ovvero come passare una giornata fantastica da turisti posh a casa propria (o quasi)! Se vi proponessero di trascorrere una giornata in un hotel o in un resort vicino a casa, senza uno scopo preciso, e solo nelle ore diurne, cioè senza dormirci, cosa fareste?
Le oscure premesse
Perplessi? Lo eravamo anche noi. I gestori di DayBreakHotels ci hanno chiesto di provare i loro servizi. L’idea è quella di soggiornare in resort e alberghi di lusso, ma solo di giorno, abbattendo notevolmente i costi. All’inizio io, povero bischero, non capivo…
Io: “Gaia, ma dov’è che andiamo quindi?”
Gaia: “A San Giustino Valdarno.”
Io: “Ma è a 15 chilometri da casa, ci siamo stati 276 volte…”
Gaia: “ Sì, ma ci ospitano in un resort di lusso, la Villa Cassia di Baccano!”
Io: “Ah! Figo!”
Gaia: “Sì, ma solo di giorno, non di notte.”
Io: “Cioè? Quindi che ci facciamo?”
Gaia: “Ma nulla, te l’ho già detto! Sono inseriti in una catena di hotel diurni… Questa è un’esperienza, stiamo un giorno e basta!”
Ero sempre perplesso. Ma la mia perplessità non ha mai frenato un progetto della PatataInGiacchetta, anzi, direi che il mio essere tendenzialmente contrario è la benzina che accende l’animo picaresco di questo blog e così siamo andati a San Giustino Valdarno, frazione di Loro Ciuffenna, provincia di Arezzo, Toscana profonda…
Il viaggio
Era una giornata di dicembre, fredda e orrendamente pre-natalizia. Pioveva: i campi intorno San Giustino sembravano invitanti come le steppe chirghise prima di una tempesta di grandine. Mentre guidavo una vocina interiore intonava un mantra molto poco yogico: “ma-che-cazzata-è-mai-questa-potevamo-stare-a-casa-a-guardarci-una-serie”, più o meno all’infinito.
Arriviamo alla Villa Cassia di Baccano. Non l’avevo mai vista, nonostante sia proprio vicino alla Setteponti, la strada che noi fiorentini del contado facciamo spesso per andare verso Arezzo. Bella è bella. Padronale, direi. Nel frattempo ha smesso di piovere e inizio ad apprezzare – ancora diffidente – il parco che circonda la villa: curato, “toscano”, cipressoso, molto russian-friendly, pervaso da un lusso orientato allo straniero, ma non posticcio. Insomma un luogo vero, non un outlet costruito con le casette del presepe.
L’esperienza con DayBreakHotels (stupore)
Suoniamo, e ci accorgiamo di essere i soli ospiti. Ci accoglie il proprietario, gentilissimo, onestamente contento di sistemarci nella suite imperiale. Inizio a dubitare dei miei dubbi. Che in fondo venire qui non sia stata una brutta idea?
Fuoco acceso, cotto, travi a vista, Chianti classico. “Vi posso portare il pranzo?”, domanda il solerte proprietario che appare e scompare come un cucù, ma senza fare rumore, discreto. Io e Gaia ci siamo già illanguiditi sui divanoni in pelle bianca, davanti al camino. Il lusso e il cazzeggio di classe sono una cosa che ci viene benissimo, una seconda natura. Fingersi ricchi è perfino facile.
Io (seduto, gambe accavallate): “Insomma tesoro, ti ricordi dei Gradeschi? I conti di Ripa Asciutta? Sai che la scorsa settimana li abbiamo battuti a polo?”
Gaia: “…”
Io: “Poi pensavo…” (sorseggiando dal calice, guardando le braci con intensità) “Dovremmo riprendere a cacciare la lepre, tesoro.”
Gaia: “…”
Io: “Taci. Su le soglie del bosco non odo parole che dici umane…”
Gaia: (preoccupata) “Ti fa male insegnare, te lo dico io…”
Io: “Ehm, vado di là nella camera da letto, ti aspetto fra le lenzuola di seta. Ordina intanto dello champagne, oh Ermione.”
Gaia: “Sei un cretino.”
Nel frattempo è arrivato l’oste-solerte-e-discreto e apparecchia, sempre davanti al fuoco – che per la verità fa un pochino di fumo. Molto old school il fuoco, con la griglia di ghisa, gli alari, l’attizzatoio, i cazzi e i mazzi, molto bon vieux temps anche l’acre odor del fumo che l’animo non rallegra, ma impuzza parecchio i cappotti. Ma insomma, siamo o non siamo ricchi campagnoli?
All’arrivo delle pietanze i dubbi sul senso metafisico di questa giornata di relax e languore toscano si sciolgono: antipasti caserecci con affettati e pecorino da sfamare sei persone e tagliatelle al ragù di “cignale” (oh, bontà dell’irsuto animale toscano!) su cui nevica, nevica copiosa una messe di caciotta padana. In breve sono presto ubriaco di Chianti a 14 gradi, strafatto di carboidrati e felice come un Falstaff aretino, o come uno che non mangiava da dieci giorni.
L’oste-ospite-santo-cuoco sparecchia, mi guarda con un misto di approvazione e sgomento (per quanto ho mangiato?) e sparisce, forse risucchiato in una botola o in un passaggio segreto della magione. Barcollo così fino alla sontuosa camera da letto e abbracciando Gaia faccio il più meraviglioso sonnellino postprandiale della mia vita. Russo, ma non la nazionalità, russo proprio, come un onesto Landini testa calda a nafta. Ci risvegliamo che quasi tramonta. Facciamo un ultimo giro della superba villa. Salutiamo con garbo il nostro ospite, con rassicurazioni e un profluvio di sinceri “ma grazie a lei!”. Siamo stati davvero bene. Rilassati, storditi dalla tranquillità. In una normalità speciale, immersi in uno strano carnevale dell’anima ci siamo “finti” turisti tra le nostre colline, solo per un giorno, mangiando (alla grande) fino quasi a scoppiare.
In otto parole: io i dubbi farei meglio a non averli.

